
Ragnetto Martino
Figlio d’arte

Filo su filo invisibile

Si cresce deludendo. Si cresce grazie a qualcuno capace di reggere quella delusione.
E se ciò non accade?
Risolvi passando su di te una spugna per scomparire, sperando che nessuno ti calpesti.
Se nessuno ti vede, tu esisti?
Se soffri e nessuno capisce, tu smetti di soffrire?
E se hai un sogno che nessuno può vedere, il sogno esiste?
Regalarsi al mondo perché il mondo abbia il tuo dono, in nome di chi?
L’arte di essere figlio prescindeva a un solo comune denominatore: la delusione. Senza, non era possibile emancipazione.
Ragnetto Martino era un ragnetto piccolino, di quelli innocui e salterini, per intenderci. Portava sempre un capellino per non bruciarsi dal sole e lo spray alla citronella per le zanzare. Non le mangiava, le zanzare, sgranocchiava spesso ceci tostati e tocchetti di ananas, per disinfiammare. Ecco, ora che ve lo siete immaginato posso proseguire nel raccontarvi la sua storia.
Uscito dall’uovo, dopo pochi mesi lo avevano preso a ginnastica artistica, ragnetto leggero e muscoletto, sapeva volteggiare in aria come pochi della sua età e agli anelli era un vero portento. Era la sua specialità preferita. Creava circonvoluzioni di ragnatele di ogni colore e di ogni forma esistente.
Ragnetto Martino era l’ultimo baluardo di una generazione d’atleti che in lungo e in largo avevano solcato le palestre più prestigiose. Ogni volta che Martino eseguiva un esercizio in pedana o un volteggio al cavallo tutti i ragnetti più piccoli restavano a bocca aperta, mentre i più grandi, a zampe spalancate, aspettavano attenti il termine della prova per prendere appunti sul suo movimento, con tutte e otto le zampe tese. Al trampolino la sua tripla rotazione carpiata e mezzo, era passata alla storia come 3MR, Triplo RagnettoMartino nonostante la giovanissima età. Atterrava aggraziato anche quando sbagliava. Gentile e premuroso fuori dal campo, era un esempio per tutti. Veniva studiato dai tecnici migliori, soprattutto per i piedi che aveva. Così almeno dicevano i grandi. Martino era un ragnetto d’arte e si vedeva da lontano. Oltre alla ginnastica artistica però ragnetto Martino aveva molte altre passioni. Amava fare merenda al parco con gli amici, anche se si allenava molto e non aveva tanto tempo. Amava dipingere i girasoli nel giardino della sua migliore amica, suonava il violino col ragno maestro da quando era piccino, scriveva poesie e recitava ogni martedì insieme alla compagnia teatrale della sua città. Studiava molto per la scuola, aveva sempre il batticuore e il mal di pancia perché non si sentiva mai pronto o all’altezza delle implicite e meno implicite pretese del suo mondo. Aveva sempre freddo e le zampe e le spalle erano sempre contratte. Non riusciva a rilassarsi mai, come voleva suo padre, anche perché non sapeva come si faceva o dove si poteva. Crescendo, a casa, cercava di starci il meno possibile, i suoi impegni serrati aiutavano a mantnere l’equilibrio precario della famiglia, anche se tutto questo gli provocava un’ansia continua, perché non poteva tenere tutto sotto controllo. A casa non respirava, non dormiva, non mangiava. Ogni mese perdeva la voce a scuola e aveva la tonsillite. Piangeva di nascosto per un dolore forte al petto che non andava mai via, non c’era un istante che non desiderasse con tutto il cuore che la sua famiglia fosse felice. Lui era impeccabile e questo distraeva e diluiva le tragedie quotidiane, fino a quando un mattino ragnetto Martino si ammalò. Per mezzo anno non lo vide più nessuno. Era continuamente infiammato e una sera durante un allenamento nella nebbia si accasciò. Gli organi interni si ingrossarono tutti, così come le zampe. Una febbre alta lo tenne a letto per lunghi mesi. Era difficile non allenarsi e mantenere la forma, era debole, ma faceva gli esercizi di core stability sul tappeto di casa e gli addominali ogni giorno, proprio come gli aveva detto suo padre. In primavera, nonostante i miglioramenti, la condizione fisica non sembrava essere tornata alla normalità. Non sapevano bene come curarlo, aveva una malattia invisibile e difficilmente credevano al suo dolore, così ragnetto Martino il dolore se lo tenne per sé.
Non perse un giorno di scuola a distanza e studiò tutta la filosofia possibile dall’Abbagnano. Riprese con gli allenamenti prima ancora di tornare a scuola. Non stava bene, ma non poteva permettersi di far perdere altro tempo alla squadra e alla sua città che lo aspettava. Il suo rientro in palestra, purtroppo per gli spettatori, carico di aspettative, fu disastroso. Dopo mesi difficili di alti e bassi, tutti convenirono col fatto che fosse ormai un ragnetto svogliato, c’è chi diceva che i genitori lo viziavano troppo, altri che i suoi mal di pancia servissero solo per avere attenzioni. Le voci dentro e fuori campo erano chiare, ragnetto Martino non era più capace di sentire e usare i piedi come prima. Eppure Martino era sempre lo stesso. Con la stessa tenacia e lo stesso desiderio di essere il migliore e di rendere i suoi grandi felici. Ce la metteva tutta ogni giorno, anche se le zampe gli dolevano molto, in punti diversi e sempre all’improvviso. Gli allenatori dicevano che era normale, non si era allenato per lungo tempo, riprendere sarebbe stato faticoso. Avrebbe dovuto allenarsi due volte al giorno per recuperare. Ormai era diventato grande e doveva mettere su massa. Martino era sempre stato magrolino e nervino, la massa gli metteva paura. Non sapeva cosa farsene. Si spaccò quattro rotule a distanza di due mesi, nonostante gli allenamenti fossero studiati per lui.
Un giorno, sfinito, Martino si innamorò di una ragnetta arpista, conosciuta a un concerto al Conservatorio. Cercò di tenere nascosto il suo sentimento, ma ben presto se ne accorsero tutti. Fu una tragedia. Martino doveva occuparsi della carriera sportiva e musicale, non poteva distrarsi a fare le merende, a ridere e pensare di prendere la patente per viaggiare con la sua ragnetta. Per andare in palestra non serviva, la patente. I suoi genitori attenti e premurosi lo avrebbero accompagnato ovunque, senza problemi. Era ragnetto d’arte.
Ma ragnetto Martino voleva dipingere i girasoli e iscriversi all’accademia d’arte drammatica a Bologna. Era cresciuto in mezzo alla fotografia e la cultura cinematografica grazie alla sua famiglia. Un ragnetto sensibile come lui avrebbe voluto vivere in teatro ed emozionare le persone in tournée, però sapeva che non sarebbe mai stato possibile.
Doveva recuperare in palestra e diventare un grande ginnasta professionista. E lo divenne. Martino vinse e stravinse le gare estive con i dolori più acuti alle articolazioni, anche se molti non lo guardavano più con l’occhio di un tempo. Per tutti Martino sembrava invisibile. Esisteva solo se suonava il violino, se componeva nuove canzoni, se faceva stretching, se sorrideva a tutti e se si impegnava a credere in se stesso e a vincere. Solo così si sentiva di esistere, ma non bastava mai. E non alleviava, soprattutto, i suoi dolori. Si arrese al dolore, imbottendosi di antidolorifici come da prescrizione medica. Molti lo prendevano in giro. Martino Il Ragnetto Fallito.
Incerottarsi tutto per i carpiati al corpo libero era diventata una prerogativa. Non si reggeva sulle zampe di dietro, senza il tape azzurro. Nonostante tutto la grazia che aveva Martino in pedana non l’aveva nessuno e questo, in mezzo al chiacchiericcio, ammaliava sempre gran parte del pubblico. Però al mondo non bastava, essere meravigliosi. Bisognava fare i record e vincere le medaglie.
Un giorno la sua insegnante di italiano diede in classe un compito sulla paura. Ognuno di loro avrebbe dovuto scrivere e parlare della sua. Martino scrisse un tema sull’esame. Lui odiava le competizioni, i paragoni, le classifiche, soprattutto quelle violinistiche. Gli si ghiacciavano le zampe e perdeva la memoria. Il fatto del ghiaccio, sempre in competizione con sé e con gli altri, pervase anche tutte le altre azioni quotidiane, ma Martino abituato a soffrire e a non lamentarsi non ci poneva molta attenzione. Era la sua natura di ragnetto, la sofferenza, doveva quindi impegnarsi ad andare oltre. Si sopporta e si va avanti, soffri ma vinci, dicevano tutti, ma lui non è che ci credeva più di tanto a questa cosa. Sapeva solo quale fosse il suo dovere.
Un giorno di luglio la storia d’amore di ragnetto Martino finì per sempre. Purtroppo non c’era spazio per la dolce arpista e ormai Martino era diventato assente anche alla sua stessa vita. Stava male ogni giorno, piangeva in camera sua e niente sembrava renderlo sereno. Si sentiva soffocato dalla sua stessa ragnatela. Nonostante tutto non smise mai di allenarsi per ritornare quel che era un tempo per tutti.
A fine agosto ragnetto Martino, ormai ginnasta professionista, decise, spinto dalla sua squadra e dal desiderio di suo padre, di andare ad allenarsi lontano da casa, in un college per ragnetti talentuosi. Martino aveva terrore di lasciare i suoi in quelle condizioni di follia in cui vivevano ma si fece coraggio e andò a inseguire il sogno del suo essere figlio d’arte. Prima o poi qualcuno sarebbe diventato orgoglioso di lui.
Il giorno della partenza però, suo padre, vedendolo partire, si tagliò davanti a lui tutte le zampe con un grosso coltello da cucina, dicendogli, sanguinante che era colpa sua e che tutto quello che aveva avuto e vinto era solo grazie a lui.
Martino, sempre lucido come gli avevano insegnato, nonostante lo spavento, chiamò da solo i soccorsi. Scappando poi lontano. Solo a quel punto svenne, pianse, e dormì per giorni.
Ragnetto Martino dallo shock non si riprese più, per anni si chiese perché. In nome del dovere continuò il sogno d’arte in una palestra lontana, poi in un’altra e in un’altra ancora, quando a un certo punto perse totalmente l’uso delle gambe e del naso. Negli anni, aveva portato il corpo allo stremo, era stanco e voleva solamente fermarsi a fare merenda con qualcuno e dipingere i girasoli. Ma non poteva, seguire la sua arte avrebbe significato tradire per sempre l’arte di essere figlio. E non si fa. Il dovere di ricambiare era in lui più forte della sua stessa vita.
Ragnetto Martino era invisibile, con una malattia invisibile. E con sogni invisibili.
Se nessuno ti vede, tu esisti?
Se soffri e nessuno capisce perché, tu smetti di soffrire?
E se hai un sogno che nessuno può vedere, il sogno esiste?
Si dice che ragnetto Martino, oggi, abbia potuto iniziare a seguire la sua arte, abbandonando lo stato del figlio d’arte, e che cucia ragnatele colorate per trattenere i sogni preziosi di ognuno per non perderli, ragnatele dedicate a chi si sente invisibile agli altri, nella gioia e nella malattia.

Le altre Storie
L' Associazione
Ci segui?
Scrivici!
© Storie di Lana - APS, C.F. 92180030907
La totalità delle Storie scritte all'interno di questo spazio web sono di proprietà di Anastassia Caterina Angioi, in quanto autrice delle stesse.
È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente portale, ivi inclusa la riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi, senza previa autorizzazione scritta dell'autrice.