In via dell’inconscio

Fuori percorso
Filo su storia nascosta

Tenersi stretti dentro chi ci permette di essere vita, senza punizione. Era la poesia che recitavano le mie paure, lei che, chiusa la porta del mondo, asciugava le mie lacrime riscaldando il freddo profondo delle ossa

Ma la disperazione porta coraggio, mi ha insegnato un giorno una leonessa del Serengeti.
Non sempre, non a tutti.
Quando Noa vide suo padre impiccarsi per non reggere l’urto di avere avuto una figlia, in fondo fu lei stessa a sentirsi per anni impiccata insieme a lui, colpevole. Come le era stato detto. Dei gesti e delle reazioni degli altri, dei modi di distruggere per una virgola fuori posto, per una parola in più, per un modo di essere di meno, secondo il modo di essere che doveva essere, per una decisione non condivisa, per un tappo chiuso male, per voler crescere come le andava, ed esprimere se stessa per come era. Non la bambolina sul pensile che era sempre stata.
In fondo non era stato lui a porre fine alla sua vita, ma lei, tramite quel gesto.
Ma la disperazione porta coraggio, avevo finito per non sentirlo più, in un certo meccanismo la disperazione ti porta a scegliere esattamente ciò che ti fa stare attaccata a chi vuole la tua disperazione e il coraggio è atto solo alla scelta di quello e nient’altro che quello, che ti toglie la vita. Chi si toglie la vita senza togliersela inscena un teatrino per cui sentirsi vittima a vita, mentre chi guarda deve fare i conti con sé, per generazioni a seguire ognuno potrà dire la sua, e scaricare le colpe, e mai le responsabilità, su di uno, sempre uno solo. Mai su di sé.
Sui materassi si cade solo se si vuole cadere e saltare ancora una volta verso il cielo se si sente di poter spezzare una catena che non nuoce le generazioni future. Non salva chi non vuole essere salvato.
Così era stato per me. E Noa mi abbracciava nella mia più disperata voglia di ridere. Non accettavo più che ogni mia piccola mossa portasse alla morte, al distacco alla distruzione. Non potevo essere così potente e onnipotente.
E ridevo, il coraggio mio era che ridevo e mi lasciavo trasportare dalla corrente. Ribellandomi ogni giorno a come le cose, secondo alcuni, dovevano essere.
Scherzavo sulle morti inscenate e disegnavo le carni a zombie vivi senza pudore, ormai pagliacci di se stessi, caricature senza autore, alla fine, nel girone più profondo dell’inferno, la morte stessa diventa palcoscenico, e io insieme ai miei compagni, la schernivo, sempre meglio. Con lontananza serrata verso chi utilizzava la supremazia per vincere, vincere sempre. Vita, competizioni, discussioni, prese di posizione, medaglie, morali e sgridate.
E io amavo perdere. Per guadagnarmi da vivere. E dormire, da sola, nel buio, mentre qualcuno pieno d’amore e cielo azzurro, ti lecca le lacrime.
Non meritavo più la durezza del mondo. E finalmente, non la cercavo. Non le davo più possibilità di ingabbiarmi. Con gioia efferata. Con te.

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