
La parola che cura
La cura

Filo su vestito a pizzo bianco, la casa, le onde, e nelle sue mani le mie

Imparavo a dare un posto all’orrore del mondo.
Ma dove mettere, quello del mio?
Ai miei figli, all’amore nella casa che avranno. Spazio di parola. Spazio e parola.
La parola che cura
la cura della parola, la scelta e la sua declinazione
mi ha salvato la vita.
A lei devo tutto.
I miei più profondi abissi, le nuvole alte nel cielo. I lampioni nella notte e le stelle cadenti.
Soli, tra la gente. Mercati affollati, persone meschine. Foto pastello e sfumature antiche.
Alla parola rivolgo la mia carne e la mia voce. L’incessante e soppesato, pensato scrivere solista.
La conoscenza dell’altro, arricchimento e delusione.
Sei importante, ma non solo nel tuo tempo. Entra nel mio, se ne vale la scoperta. Questione di via vai.
Ti lascio la mia porta, uno sgabello e uno specchio, spiraglio appena aperto.
Devo alla parola che cura, la mia vita. Quella vera, per stare qui.
E la morte d’ogni giorno ogni punto e a capo.
Devo ai respiri affannati di lacrime le mie estati, vestiti bianchi. Caschetti e cambi tonali, per ricercarmi.
Nacqui bionda, divenni cenere. Perché anche il corpo sa che a lei, di appartenere.
Il sole. La luna.
La costruzione di un amore.
La parola che cura, la mia opportunità di stare al mondo. Il rispetto per gli altri, che non torna mai.
Il mio silenzio.
La sua perseveranza.
La parola in una casa che solleva dal dolore del mondo e lo interseca nelle voci di chi la abita.
Sollievo e discrepanza, presenza e fragile mancanza.
E l’unica certezza: non ho più tempo, per sprecare -per altri altro tempo.
Allora -te lo -scrivo.
Con cura.
Imparavo a dare un posto all’orrore del mondo.
Ma dove mettere, quello del mio?

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