La cura dell’ago
e del filo

Suturare

Nella materia, prima che nella parola.
Nel dove, facendo nel come
Posando il proprio cuore

Rinfresco i miei occhi guardando il tuo sorriso
E nella cesta tovaglioli di stoffa stirati bene
Tengono al caldo un sogno al profumo di
pane prosciutto cotto e vanillina
Un po’ di pace
Cammina verso me
Ha il passo svelto
Pronta per curare i solchi sul viso del mio tempo
rubato con le unghie da chi ne sapeva più di me
donato
senza aver mai provato a trattenere qualcosa col mio volto

Rinfresco i miei occhi ammirando le tue mani
Prendo l’ago la cruna in contro luce e infilo certosina il mio cuore nella lana ammorbidita
È un gesto sacrosanto che allarga il tempo a questa vita e ripone con fermezza un senso di speranza
Rattrappito dalle parole mal poste di un male difficile da raccontare
Eppure qui mi trovo, giorno e notte a cucire lembi strappati di un’esistenza mancata
Qui mi trovo a domandare, sondare, spaccare le pietre una ad auna e farne muretti per arrivare ai fichi più buoni
Tengo insieme l’impossibile
Perché non posso fare altro che tentarlo
Attorno
Mi illumino di fragile
Mi accendo di amore
tramonto diverso accusato da molti
mi proteggo da una storia che si porta sulle spalle accuse che le mie orecchie non vogliono sentire mai più

Rinfresco la gratitudine di essere viva
A modo mio
Senza trofei e cocci rotti
Senza flash coccarde registrazioni
Non avevo la pretesa di cambiare il mondo
Ma di vederlo cambiare insieme a te
Cucirci addosso la gioia di vivere a vicenda, coi berretti di mollica e foulard di tovaglioli.

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