Yvonne

Tre fiocchi alla volta
Filo su leggerezza

C’è un’espressione che con poco riguardo vola spesso dalla bocca dei grandi.

Di solito la leggerezza di questo parlare è proporzionale al vuoto che nascondono gli occhi dei bambini che hanno davanti. Quando imparano a parlare, a scrivere, a contare i granelli di sabbia, a estrarre dalle rape il sangue, quando raggiungono un obiettivo, realizzazione sogno, scala, padella, pergamena, lampadina, cactus, quando fanno qualcosa che per il mondo è fatta bene, quando per il mondo è un gran risultato, quando per voi è una vittoria:

E i tuoi genitori quanto sono felici per questo? Che ne pensano? Che dicono? Quanto saranno fieri, che soddisfazione per loro, dev’essere

sono felici e orgogliosi di te, non è vero?

Poi quei bimbi crescono. Ma la domanda rimane. Continua a risuonare. A echeggiare nelle bocche e nelle storie specchiate.
Chissà che orgogliosi e quanto lo saranno- stati – di te, non è vero?

A ognuna di queste domande non di rado il cuore di un bimbo muore, ma è nascosto e non si vede. Allo stesso modo un bimbo con il corpo cresciuto sprofonda in un sordo non so. Ed è esposto. Si vede.
Nessuno glielo aveva mai detto.

In mente abbiamo una tipologia di genitorialità e di cura. Di figura. Uguale per noi, estendibile a tutti.

Yvonne si allaccia le scarpe strettissime, tre nodi. Sempre. Perché cambiare la sequenza porta sventure. Lo sa da quando è piccola.
Yvonne si allaccia le scarpe strettissime per non sentire dolore, le ossa dei piedi fanno le male, la pianta, le fa male, tra le dita fa male tutto, fa male tutto, ad appoggiare. Si mette la gomma piuma, nel tallone, perché non si veda che soffre.
Yvonne si allaccia ogni giorno le scarpe strettissime. Lacci viola, azzurri, rossi, bianchi, gialli gioiosi quanto i segreti che nascondono. Yvonne conosce tutte le scivolosità e le aderenze dei materiali di cui sono fatti i suoi lacci e sa che se fa alcuni nodi strettissimi poi sarà molto difficile allentarli con le mani ghiacciate, ma non importa, ci penseremo poi. Ora non c’è tempo. Bisogna andare.
Yvonne le allaccia strette, le scarpe, per non sentire dolore.
Per sentirlo di più, e così forte annientarlo.
Annientarsi.
Fortissimo è anche sinonimo di velocissimo, e quindi di controllissimo.
Stringere controlla. Stringere è che le scarpe diventano seconda pelle. Stringere passano le ore e i nodi non si slacciano più: piatti, tondi, bagnati, nuovi. I lacci nuovi sono bellissimi. Sono gonfi. Ogni stagione ha un colore diverso. Ogni colore ha una stagione appena passata che lascia i suoi strascichi, i suoi sogni. I suoi dolori. Profondi. I fiocchi. Abissali. E se arriva il cambio di colore significa che il tempo sta passando.
Che qualcuno sta crescendo, ma non si dice. Non si guarda. Si capisce solo dal riscontro sulla tabella di marcia. Se funziona.
Yvonne non ha bisogno che qualcuno le dia degli ordini. Perché se gli ordini arrivano è grave, è tardi, significa che Yvonne è stata mancante. Non ci ha pensato da sola, per prima, previdente. Ragionante. Consapevole. Intelligente.
Le parole le servono solo da conferma.
Se arriva l’ordine è già tardi.
Yvonne si allaccia forte le scarpe per essere più leggera. E non sentire dolore. Costante, acuto, nel cuore nelle ossa nelle giunture di ogni articolazione.
Yvonne non può distrarsi. Non può essere fallace.
Yvonne non è mai mancante. Mancanza è errore ed errore non è, non è, non so come si dice in una lingua che possa arrivare agli umani. Non è. Non rientra nella contemplazione della vita, l’errore e quindi non so come si dice.
Yvonne non ha bisogno di qualcuno che le dica che non deve mangiare, che deve dimagrire, che dovrebbe farlo, che deve pesarsi, controllarsi, ogni giorno, cuce il mito della leggerezza sui suoi occhi senza anestesia, rammenda sui confini della perfezione le sue ossa e sulla carne gioca agli strappi, come piace a chi la guarda e sa, quanto è appagante.
Ma non bisogna parlare, o sentirsi obbligati. Non è un obbligo vivere così.
È così.
Yvonne il giudice lo ha già automatico, dentro, come il pilota. Sa già cosa deve imporsi, cosa deve giudicarsi, cosa deve togliersi, mettersi, fustigarsi.
Quando qualcosa deve cambiare lo sente anche l’universo, perché da qualche parte qualcosa non va più o non è andato, il segnale arriva chiaro ed estremamente pungente. E cambia, cambia facendo il giro molto largo perché non risulti mai una imposizione. Perché nella vita di Yvonne c’è sempre libertà di fare tutto ciò che vuole. Niente si impone.
Tranne l’aria che si respira e in che modo si respira.
Ma in silenzio. Secondo le risultanze e le conseguenze del suo respirare.
Niente si impone. Perché eticamente non rientra nella sua educazione. Quando qualcosa deve cambiare cambia secondo scienza, e ci si deve arrivare da soli, prima della spiegazione. Così arrivi per sceglierlo da sola, il cambiamento. Per deduzione. Felicità. Equilibrio. Spiegazione, scientifica. Ti tolgo il pane. Secondo la scienza. Dimostrazione. Te lo dimostro, così è Yvonne stessa a non sceglierlo più. Perché Yvonne è grassa. Non è alta lunga e leggiadra. Lo è ma è bene che lei non si veda così.
Lo sa che lo è. Grassa grossa gonfia vecchia. E non filo d’erba. Le ossa non si vedono ancora tutte. Non è leggera abbastanza. Prima di farselo dire, mai farselo dire, fa in modo che non ci si arrivi mai, a farselo dire.
Yvonne non ha bisogno di umiliazioni urlate, ci sono anche quelle silenziose, e altre, già silenziate. Come pallottole invisibili e impercettibili.
Lacrime sgorgano copiose sui lacci strettissimi di Yvonne ogni giorno, mentre cammina verso il parcheggio, che le ricorda che per metà giornata almeno è finita, andare verso l’uscita, verso la cura, verso altro, l’altro, cammina sull’asfalto, scalza, piuttosto che tenere le scarpe attaccate alla carne. Yvonne è una macchina ben collaudata. Ma fa troppo caldo, Yvonne li slaccia ogni giorno i lacci strettissimi, ma più tardi, è troppo stanca anche solo per asciugarsi.
Yvonne piange sui piedini stanchi. Le urlano che non è abbastanza. Ha sei anni. Lei le urla ogni giorno. Secondo quanto ha passato la sua giornata frustrata. Quando non viene è una vacanza.
Yvonne piange. Viene sgridata continuamente in un angolo visibile a tutti. Ha sette anni.
A otto anni se sbaglia è giusto e lo sa, che venga umiliata. Davanti a tutte.
La leggerezza è dalla sua, almeno le rimane quella. Per poter piacere, per poter essere amata, guardata, ammirata, per zittire le bocche, per compiacere gli occhi maligni e i più pieni d’amore. Tutto cambia, niente cambia. Cambia il cielo e i piedi non sono più nudi, e i calli si sono fatti più duri.
Yvonne prega che il suo corpo non cambi. Ma non cambia è estremamente magra.
Tutto cambia, tutto resta uguale, ma non lei. Yvonne deve cambiare ogni giorno per poter migliorare, per difetto. Le urla cambiano bocca, poi si sovrappongono. Poi ne resta solo una. E aumentano quelle del pubblico.
Yvonne non ha bisogno che qualcuno le dica sei grassa. Non lo deve essere e basta.
Lo sa da sempre.
Yvonne è molto brava a stare dentro i canoni, quelli che fanno girare chiunque, soprattutto chi per lei è il motore delle cose, e quindi, mai abbastanza.
La leggerezza della sua forza è l’unica cosa che l’ha sempre contraddistinta nel mondo. In quel mondo. In tutto il mondo.
Essere di meno, per Yvonne, è avvicinarsi sempre di più al canone di perfezione che dio ha dato al suo passaggio sulla terra, la leggerezza, quel giunco su cui il tempo e la biologia non tocca mai le spalle, tanto è compresso e invisibile nel corpo di un umano,
Essere umana.
Non per Yvonne. Non è il canone di Yvonne l’umano, è Yvonne il canone stesso in cui doversi specchiare. L’altro.
Eterna bambina. Mai stata.
Yvonne stringe di nuovo i lacci strettissimi, per sentire meno dolore sul dorso dei piedi, e tenere insieme ciò che non era mai è stato.
Una famiglia. Attraverso il suo corpo.
Attraverso un talento innato e mai desiderato: diventare la stella di un sistema sbagliato.

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