
Delia esiste
Ma vuol morire se si accorgono di lei

Filo su scoglietto, che affiora e si nasconde, lontano da qualsiasi prestazione,
nessuno è migliore

L’emersione implica riconoscimento esterno, ne esistono molti.
Alcuni sordi e violenti, altri innamorati e delicati. Da lì la vita prede una strada o un’altra. Fino a che non ti scopri, se sei scoglietto o lava rovente che brucia ogni cosa
Delia era scoglietto, ma non si era mai potuta riconoscere così, faceva da sempre il vulcano di lapilli
Ma lei era casa per pesci, pomodori di mare, sedia di bambini e abbracci di subacquei.
Hai messo i nastri alla morte. Per tutta la vita.
All’omertà il vestito buono.
Alla follia la maschera del clone.
Ho messo i nastri al dolore. Per tutta la vita.
L’ ho lavorata ai fianchi quando il buio si cibava delle mie ossa.
Hai messo la colla alla mia bocca per non sentire mai.
Ho messo stop alla vita perché parlassi solo tu.
Ho messo i nastri al dolore.
Alla vita una benda perché non soffrisse come ha fatto il mil cuore.
Ora la vita risorge
Delia si guardi
Delia ora può parlare, e prendere posizione, la sua, e a mani nude, in compagnia come desidera, dipingere il suo muro bianco, danzando sulle proprie punte, non quelle sul teatro che le fa male
Uno suo. Un teatro tutto suo. Dove farci quello che vuole.
Delia poteva emergere con la propria idea di essere al mondo ed essere riconosciuta in quella e cercata per quella, con la responsabilità della sua maternità e di crescerla con le proprie gambe
Una diversa, da quella impartita
E se riconosciuta dall’esterno allora più reale
E dissidente
Da quella da sempre pensata su di lei
E non per lei
Lontana dalla perfezione dell’Olimpico Dio che tutto sa e mai si contraddice
Delia esiste, scoglietto che affiora e si copre di mare, si scopre alghe, se esiste si vede e se si vede la si riconosce, e porta via con sé, come onda di mare la condanna di quell’unica emersione che sapeva riconoscere: la violenza della dimostrazione. La terrificante attestazione di comprovare, accertare, rendere sicura la visione che chiunque ha di te mentre ti guarda
Scoglietto di mare sta lì, un appiglio del mondo che mondo che canta quando vuole. In alta marea dorme, e in bassa coi cormorani esplora. Emersione di persona, d’amore e riconoscimento è la carezza degli altri, il cuore poggiato come stella marina che prende il sole
Emergere sempre per forza e a tutti costi per un tempo indefinito, con dolore indefinito, con uno scopo finito: la sopravvivenza dell’altro. La sua riuscita. La sua felicità uccisa, ben prima che tu, e solo tu, fossi in vita, raggiunta se la vetta porterai alta, sempre e in ogni cosa tu faccia
A scapito del proprio essere del proprio corpo della propria vita, porta
A morire
Per mano degli altri
Per mano propria
Perché poi, se emergere è questo, non provi a provarci mai più
Delia ne era talmente spaventata assuefatta nauseata riempita come un tacchino, di emergere, di essere perfetta, di primeggiare, di eccellere, di essere migliore, di migliorare, a tutti i costi, di emergere come un missile che tutti lascia indietro e tutto
Come fosse un’emergenza, costante, totale, totalizzante
E non sua
E allora chi?
Ma allora di chi?
Delia aveva imparato a suonare prima di scrivere, a scrivere prima di ascoltare la sua voce, ad ascoltare prima di mangiare, a morire prima di cibarsi
Aveva imparato a stare su un piede prima che su due, a usare le forbici affilate per riunire lembi di carne e i bisturi azzurri che lasciano segni invisibili e sangue
ma lei era capace, Delia è nata capace
Di fare tutto
Il subacqueo, il veliero, la tigre bianca, il coniglietto
Di domare le belve e mostrarle criceti ai paganti sugli spalti
I bisturi, quelli affilati, come fogli di carta bianchi che non raccolgono sogni e pennarelli e colori sgargianti, ma righe dritte e soldati negli occhi, recidono la pelle prima che tu possa accorgertene
Delia è nata Dea ma non lo sapeva
Senza i benefici ma solo i dolori
Delia si fa schifo
Delia non si sa ribellare
Delia le fa schifo tutto quello che anche poco avvicina a una classifica
A una gara
A una competizione
A un esame
A un podio
Una bolla di eccellente dolore
Un primeggiare che condanna, lei cerca di avvolgere di panna, nel silenzio e nel delicato esisto ma poco, ogni giorno da che ha modo di esistere tra noi, lo ha condito di poesia e amore e pazienza e perfezione e dedizione perché assomigliasse di più a un’opera d’arte, una sua, per non vedersi paragonare agli altri
Delia è un paragone
No. Delia è il paragone
Delia non ce la fa più, diventa qualcosa da cui prendere posizione
Delia nemmeno vomita, ha mal di pancia, si mangia dall’interno le viscere pur di non farle vedere, di non cadere, vacillare
Mai
Perché quando primeggi, e primeggi in tutto
Il mondo si aspetta
Non tollera
Attende la linea sempre in ascesa
E non ti aspetta
Primeggiare in emergenza emergere come un vulcano in piena, in piena di magma costante e lapilli e pietre roventi, scaturisce sempre viva lava viva e brillante per occhi, i suoi, seducenti
Mai troppo e mai poco
Mai gioia e mai trasporto
Delia si fa schifo
Se emergi e sei sulla vetta, la vetta non perdona. Se sei migliore a fare i castelli di sabbia, poi diventano per forza grattacieli, poi diventano metropoli poi continenti e no, non puoi dire no
Non sai dire di no

Volevi solo fare i castelli, belli, con le conchigliette e magari non farli mai più perché scopri le telline e vuoi fare la tellina
Ma non lo sai cosa vuoi
Non hai tempo per i vuoi
Delia sa fare tutto e lo sa fare bene
L’eccellenza non perdona, la platea non perdona, va mantenuta viva, giorno e notte notte e giorno e notte, un altoforno di becere emozioni, senza mai riposo qualsiasi scivolata porta danno alla colata, alla centrale, sei una perdente una fallita, una finita, un’illusa, adagiata, su qualcosa che adagio non va mai
Delia non conosce adagio, non conosce ricompensa, è la puttana della sua vita
Una vita che non conosce
Ma che sa deve agire alla perfezione
Delia non può sapere cosa vuole non ha spazio
Delia si dona che donarsi è la vita la gloria, i soldi che guadagni non li vede mai, li vedi da lontano, ma non sono per i tuoi anni, la prestazione non è abbastanza, devi pensare all’apice, al godimento sublime. Sempre.
E non tu. Chi hai davanti. Sotto. Accanto. Lontano. I passanti.
E per te è l’unico piacere che sai
Non consoci altro.
Il piacere degli altri. È vedere ai suoi passi orgasmare gli altri.
E no, la vetta va mantenuta e tu non conosci tregua, né ritorno, né specchio, né bellezza
Delia è una macchina da numeri da soldi da centimetri da secondi
Delia è una macchina che prende colpi
Da dentro da fuori e non li perde mai
Non sente fame né freddo né fatica non vede gioia se non negli occhi di chi la guarda
E quando manca la vita finisce lei finisce il suo corpo finisce la sua bellezza svanisce
Insieme a lei
Delia non è niente non è nessuno, dalla vetta è stata spodestata
-si è –
il dolore fisico è solo immaginario banalità colpa ogni malore è disattenzione mai un raffreddore mai una febbre mai un non riesco ho paura non vengo
Mai un amore, una curva, una rotondità del corpo e del cuore, mai un complimento
Delia muore come calcare scavato dall’interno, il corpo cede, goccia dopo goccia dopo goccia ci mette sette anni, lunghi strazianti lunghissimi anni strazianti introdotti da altri che ignorare era meglio
Che ascoltare
Il desiderio di essere altro delicato bocciolo altrove su un ramo
Un piccolo scoglio che emerge e che scompare che riaffiora e ricompare
Tregua per gabbiani, tana per granchi
E non solo sulla bocca, sabbia tra i denti da inghiottire dentro un sorriso e gli occhi di bambina
Perché Delia è sempre e solo una bambina
Una di quelle da copertina, una fredda e accecata di luci posticce, che accecano la pancia e il languore sulla punta delle dita, una fame dipendente, e non quella sua, una copertina morbida di caldo e di sole
Delia vuole
Delia è una donna rinchiusa nel dolore di diventare qualcosa
di essere qualcosa che qualcuno possa riconoscere che lei, da sola, ha potuto desiderare qualcosa e realizzarsi in qualcosa che non è riflettore vulcano vetta ordine dovere morale di primeggiare
No
C’è posto per chiunque
ma non per lei
Delia ha il terrore di emergere fuori dal suo letto, perché le fa paura. Terrore. Vergogna.
Anche un solo sguardo, se entra in un bar
Perché emergere significa solo una cosa, morire di qualcosa che non le assomiglia per niente
Una fama che fa soffrire la fame e i sentimenti. E non propria. Di aspettativa che lacera. Di delusione negli occhi di chi aspetta. Ma tu sei scoglietto e sei casa di tellina
Delia prima di saperlo col coraggio lo aveva e nel dolore, già lì, molto prima di decidere di darsi una mano, quella di un sospiro
Di un no coraggioso
Lontano dai gas.
Sono capace.
Io posso emergere nel modo per me migliore, in quello che per me è importante, e nessuno mi condannerà di doverlo essere per sempre, e se lo farà non è la mia canzone, posso affiorare per asciugarmi le ossa al sole, e non come vogliono gli altri nei tempi degli altri e con la smania degli altri.
Quando passi la vita a dimostrare di saper tenere in braccio il mondo e sulle spalle la facciata felice di chi tutto ha avuto e tutto sa fare e tutti impressiona e niente in sé perdona e quando passi tutta la vita a coprire il dolore che pensi di meritare e che perdere il controllo su tutto significa morire, lasciar andare significa distruggere, rinunciare significa veder ammazzare
Ecco che la mediocrità, il buio, la contentezza di stare sott’acqua diventa l’assoluta necessità di essere nessuno, invisibile, se possibile sparire
Serve e si può fare ma non se lo fai per paura di essere
Per far tacere le bocche
E le richieste disattendere
E le promesse in te distruggere
Distruggi la tua vita che hai imparato, senza quel magma, un magma non tuo e che per te fa male, non vale una lira
E non riesci più a guardare nemmeno una candela non ti interessa più accendere il gas per la minestra
dal tuo guscio di ovatta e calci non ti importa più che ci possa essere altro modo di farsi riconoscere
Perché Delia sa, che farsi riconoscere, significa solo una cosa
Lasciatemi stare
L’unica cosa di cui ha voglia è che chiunque la lasci stare
Ma tu desideri tutti e tutto e gli altri e la vita i colori
Ma sei stanca
Il corpo martoriato di dolore non vuole sentire di più nemmeno una minima ragione per dover soffrire e faticare
E soffre ancora
Ha sofferto ancora
Delia ha paura di emergere perché conosce solo l’emergenza di emergere
Quella degli altri
Su di sé, specchio degli altri, per sé riflette la sua luce negli altri
E la vita passa, la propria vita lasciata in mano agli altri
Delia non ha mai smesso di camminare, mentre le parole arrivavano come bombe sul suo incespicare, sanguinante, coi vestiti a brandelli, con le crepe sugli occhi e le dita strappate dai morsi, Delia nel mentre non ha mai smesso di togliere le liane, le mangrovie per liberare un sentiero mai battuto prima d’ora, le mine, i fulmini, gli animali feroci, Delia non ha lasciato niente al caso, o forse tutto, ha spezzato i rami con le unghie, e senz’acqua ha proceduto, senza sapere dove andare, ma andando, screpitando, come magma brillante, su un sentiero uno suo, col suo nome scritto con tutti i colori che ora, se chiudi gli occhi, puoi pensare su un tappeto rosso

Vedo la punta di un boccolo
Delia è vicina
Signore e signori lo spettacolo è qui, mettetevi comodi, perché ora comincia.
Il tempo poi passa, e passa comunque, e solo, e purtroppo solo se ne fai qualcosa notte e giorno, quando tutti dormono e festeggiano e sanno sempre ogni cosa su tutti e su tutto, quando qualcosa è l’ultima cosa che riesci a fare, che puoi fare, senza mezzi e qualcuno che ti sfami che ti ami che ti coccoli che con te le mangrovie, una a una davanti alla bocca dipani, solo se continui a lottare, nel lavoro orrido che è nascere da grandi, prendi l’accetta e sfibri la coda di scorie che ti porti ancora dietro e anticipa le mosse, prima dei tuoi passi.
Hai usato tutto, hai riciclato tutto, sei andata avanti.
Ora è qui, se mai vorrai passare, ad ammirare uno spettacolo di tenerezza e sedie basse, pieno di persone, e gioia e diversità cucita addosso, quella unica che ognuno di noi ha da quando viene al mondo, che già è al mondo, fotocopia di nessuno, e per questo speciale. Una vita propria, perché ha qualcosa ancora da sussurrare.
Col suo spartito e le sue note, il suo sonno e ogni preziosa concessione, lo strabordo, i sacrosanti vaffanculo, io non sono questo, io esisto, non mi va.
Con ogni calma esistente al mondo distante anni luce da qualcosa che si avvicini al dimostrare. A una classifica di corporali forze. Una aspettativa, un obiettivo, un di te atavico e per forza, preistorico prestante, sono migliore. Quello che da neonati ci mettono addosso, podio. La migliorìa di fare bene fino alla bara, assuefatti fino all’osso. La falsità che dobbiamo portare avanti per diventare come gli altri. Per far finta di essere felici come chi ci ha voluto magma. E mai coltre di sale. Per coprire le loro menzogne, i loro soprusi, le loro violenze, e mai cadere. Cedere. Far vedere. Emersione.
Perché crollerebbe tutto. E si capirebbe che dietro un bel vedere c’è qualcosa che non torna.
Eternamente rotti, inappagati, malati, attaccati, distrutti.
Non tutti hanno voglia di compiacere qualcuno, di arrivare primi, di ricevere lodi.
Delia è uno scoglietto, casa per pesci, pomodori di mare, sedia di bambini e abbracci di subacquei.
Hai messo i nastri alla morte. Per tutta la vita.
All’omertà il vestito buono.
Alla follia la maschera del clone.
Ho messo i nastri al dolore. Per tutta la vita.
L’ ho lavorata ai fianchi quando il buio si cibava delle mie ossa.
Hai messo la colla alla mia bocca per non sentire mai.
Ho messo stop alla vita perché parlassi solo tu.
Ho messo i nastri al dolore.
Alla vita una benda perché non soffrisse come ha fatto il mil cuore.
Ora la vita risorge.

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