fbpx

Aderenze:
non è colpa tua

È che ancora, non ce la fa
Filo su B di vivere, la vita vince. Le ho messo un fiocco bianco perché si tenesse su

Ripeti con me: non è colpa tua, non è colpa tua, non è la tua. La colpa. Né ora, né prima né mai. Non è colpa tua. Non è.. Non è.. Non è colpa tua.

La vita vince su tutto, sempre. La vita vince. Vorrei dire. Ma non è vero. Ed è questo, a renderla speciale. Tangibile. Umana.

Stava lì, sull’ultimo gradino di un’esistenza passata a chiedere il permesso, come una donna che attende il divorzio, attende e non ci riesce, catturata dalle aderenze con cui la sua pelle s’appiccica al dolore, senza prenderselo tutto e velocemente, e mai, quel permesso luminoso e potente. La vita. Senza per forza specchiarsi con la morte. Senza per forza la redenzione.
Respiro, la morte mi guarda.
Sorrido, la morte mi giudica.
Desidero, la morte si vendica.
Povera morte.
Lei non c’entra. È che gli uomini la usano per fare del mal a chi resta.
Ma di cosa?
Proprio lei, non ha bisogno di redimersi da niente, sa?
Non doveva aspettare niente, men che meno redimersi da qualcosa.
Bene, può iniziare ad avviarlo, finalmente. Questo divorzio.
Come se vivesse, senza vivere mai, con una cosa morta attaccata dietro, di lato, sulla testa, al seguito, uni spettro che si trascinava e che la inseguiva, un ramo morto, un cadavere, una zampa in cancrena. Una foglia schiacciata da un tir.
Dopo anni passati a elaborare il lutto, il cadavere era ancora eri lì. Aderente alle accuse, alle colpe di essere lei la belva, lei il lupo cattivo. Perché qualsiasi giudizio, parola, pensiero uscisse dalla sua bocca, da quella e da quell’altra, lei era d’accordo. Sempre dalla sua parte, dalla loro parte. Ora come allora.
Quanto tempo era passato, quanto il tempo di sei, sette, o forse otto gravidanze. Non importava a nessuno, la morte era lì. E ripeteva con sé : fine.
Bel regalo le aveva lasciato, davvero un bel regalo da scartarsi negli anni. Gliel’ha fatta pagare proprio cara, con una gran dose di cattiveria, lo sa? Nel mentre, durante, e dopo. Bel prezzo da pagare. Come a sottolineare sempre e per sempre, che se provi a pensare usando la tua testa è proprio quello che ti meriti, che accade, e che accadrà ogni volta.
Per sempre? Forse qualcosa mi dice di no.
Eppure smisi di pensare, di muovermi, di fare, in senso pieno.
E continuai in senso vuoto. Continuando a dimostrare alla vita e a quei lupi che ce la facevo, che ce l’avrei fatta a continuare senza di loro e la loro condanna, ma quando tutto si svuota, potrai essere impeccabile e tenace quanto vuoi, quando quel meccanismo che funzionava funzionava con determinati presupposti, che tolti, non riempiono più, quando qualcosa si svuota di senso, non c’è più, un senso.
Anche se minimizzi, e fa niente, e provi a convincerti che è solo un tragico intoppo e ti ti ribelli, non serve.
Lei minimizzava tutto. Senza rendersi conto della gravità. Del suo coraggio soprattutto.
Anche se ci provava, a dimostrare che la dimostrazione dell’annullamento della vita con lei non aveva funzionato, non sempre il prima prosegue intatto. Non può e anche se ci provi, c’è un limite.
Come a vendicarsi, e sbatterlo continuamente in viso, ecco cosa accade, ogni qualvolta desideri una vita migliore. Muori.
E perché? Perché come avrebbe potuto fare altrimenti?
Perché è stato coerente. Come sempre.
E invece non ero stata d’accordo, con quel coraggio che gratta la gola, avevo parlato, ero stata come non lo ero stata mai. Se solo non avessi parlato non sarebbe successo niente di cos’è successo.
Magari sarebbe successo lo stesso. Certo, che sarebbe successo lo stesso, il terrore mangiava maniacale le sue ossa da decenni. Ma sarebbe stato diverso. E la sua vita sarebbe stata diversa. Invece è successo proprio nel modo perfetto, e coerente, in risposta alla vita che vuole vivere forte, in risposta al proprio agire. Aveva scelto. Avevo scelto. Aveva cambiato prospettiva. L’avevo cambiata. Aveva protetto. Tutti. Non so.
E allora non era giusto, gliel’avesse fatta pagare con tanta cattiveria. Questo, l’altro, tutto. E ancora dopo tempo, ancora.
E lui? E l’altro?
In egual modo. Pensano di essere stati masticati, aggrediti, rovinati. Da lei. Sì, da me.
Loro pensano me al lupo cattivo. E io ci credo. Non aveva, non ha nemmeno i denti da lupo da latte.
E lei la bocca non l’ha mai aperta, questo lo sa?
Nonostante gli anni fossero passati, niente da fare. Ci credeva ancora, la vita le dava dimostrazione, più andava avanti, che era proprio così, che bisognava continuare a pagarla e pagare, e ancora troppo, stava dalla loro parte.
Non è colpa sua, lo sa?
Ma la vita era stato un continuo A, poi fai B, e allora avrai C.
E poi di nuovo, una giostra continua, che non si ferma mai, che sei provi a fare B allora ti dimostro C, e mi vendico, di C. Una giostra che non si fermava mai.
Un giorno le cadde un chicco di riso per terra, cadde su un meccanismo. Saltarono tutti per aria.
La lettera B, quella B di vita chiedeva a gran voce di essere vista.
Vissuta. Occupando una posizione in prima fila.
E non quella degli altri.
Quegli altri ai quali aveva votato tutta la sua vita.
Perché ad A può seguire B e una meravigliosa F di festa.
La tua.

© Storie di Lana
La totalità delle Storie scritte all'interno di questo spazio web sono di proprietà di Anastassia Caterina Angioi, in quanto autrice delle stesse.
È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente portale, ivi inclusa la riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi, senza previa autorizzazione scritta dell'autrice.