Co(l)azione a ripetere
Poi un giorno si domanda
Filo in teglia
Alcuni dei maggiori esperti di trauma al mondo hanno dimostrato che il cervello può di dimenticare i traumi che subiamo ma il corpo, specie il sistema nervoso, tiene traccia di tutto. I ricordi vengono contenuti nelle spalle, nella colonna vertebrale, nelle mani senza che lo sappiamo. Dopo essere stati male o feriti il corpo ricorda, impariamo dal passato e sviluppiamo strumenti che ci aiutano a reagire. In pratica più superiamo un ostacolo più, se si ripresenta, lo sapremo gestire. Il nostro corpo è pronto a riprendersi. O almeno è così che crediamo.
Ma talvolta un’incognita può mandare tutto all’aria.
Meredith Grey
Imparare dal passato non serve. La coazione a ripetere sta lì, sirena, come miele per le api per cascarci.
Non voglio eppure lo faccio, non è scelta razionale. Scegli, ma non sei padrone in casa tua. Estremamente frustrante. Soprattutto perché te ne accorgi.
Ma solo a posteriori. Se ce la fai.
Anche un po’ nel mentre. Ma non ce la fai.
Ma come fai?
Si lavora duramente, perché le fondamenta della tua casa non si poggino sui castelli di sabbia di un mare in tempesta. Su nuvole meravigliose. Su quel che potrebbe essere ma non è mai.
E quando non è mai ti scavi dentro.
La chiave non sta nell’imparare, nel capire, nel comprendere, nell’ordine del compito.
È in quella dello spostamento, del decadere, del distacco dalla montagna, frutto che cade, sonno che lascia andare: quando meno te lo aspetti.
E sì io ci voglio il balcone con i vasetti e i fiori violetti e azzurri, e le briciole, briciole ovunque e il materassino piegato storto, in sette, nello sgabuzzino con i suoni ovattati e ripiani e odore di sgabuzzino e calduccio da nascondiglio tutto l’anno. Tra conserve e confetture e profumo di cartone e merendine. Poi voglio il divano gigante. Ed essere padrona in casa mia, il divano più gigante e morbido e largo possa pensare.
Calore, poter rinfrescare. Un corpo che possa dimenticare.
L’accappatoio rosa e le lenzuola rosa e una lampada grande piantata bene a terra, tonda, morbida, con la luce soffusa e una capanna.
Sì una capanna.
Tana salvi tutti, che il nascondino si è esaurito.
Perché si può scoprire a un certo punto che non devi scappare più, da niente. E prenderti tutto quello che è tuo.
Ma come è possibile?
Ero solo terrorizzata. Com’è possibile che non scappava più da niente?
Riappropriarsi. Riprendere. Prendere per la prima volta.
La carta magica che avevo pescato aveva un sacco di sugo e nel cartone una parola: la mia scelta.
E ci voglio anche la lampada di sale da guardare e da toccare e le lucine piccoline per far sempre Natale. E ci voglio lasciare il costume in giro, e i vestiti nell’armadio, e la pizza al piano.
Voglio la pizza al piano e un cuscino finalmente nella sedia di giungo tra le ossa che uso per interno. E poi voglio l’uovo per cullarmi e l’altalena.
E un forno, dio se voglio un forno per adagiarvi le torte con senza niente e la pizza congelata che sa di cosa di casa col mio sapore.
Le crêpes e le frittelle tutto l’anno, voglio friggere anche le pantofole, voglio scendere in ascensore e poi salire e rifarlo ogni due giorni, e portarci le cose alte, e fare l’albero, e non avere paura.
Io voglio prendermi tutto quello che è mio e non avere paura.
Voglio cucire un tana di ricordi.
E scegliere cosa fare, dove andare, cosa vedere cosa sperare e raccontare, e malcontentare le persone tutte, senza sentirmi in colpa.
Non avevo paura. Ero solo terrorizzata. Spaventata quasi a morte. Ma come sempre, il mio progetto la mia visualizzazione il mio desiderio erano più saggi e astuti della mia testa, che stava sempre indietro, non riusciva a stare al passo per rispondere scientemente ai tutti i miei perché.
Ma c’era tutto il tempo. Anche per rispondersi. Anche se io non lo vedevo.
E anche agli occhi dei miei libri e le mie scatole, dei miei pezzi spaiati, delle mie parole e le mie stuccate d’amore, pareva la cosa più bella potessi visualizzare. Era lì, pronta per vedere cosa poteva darmi.
La terra qui era finita, avevo usato tutto, era rimasta solo la sabbia.
Perché quando visualizzo una cosa poi ci arrivo, forse con un giro lungo e tante curve ma ci arrivo, quando visualizzo, poi ci arrivo.
E voglio il gas che si accende senza accendino né la bombola che finisce scaldando le castagne al pentolino. Le candele accese e i profumi da casa per bene. E riempirla di voci e legni caldi. I fiori di lana e i cuscini colorati.
Voglio i profumi delle altre case che mi avvolgano alla sera, e la luce del mattino colorarmi i capelli lunghi alla schiena, il letto dei fine settimana e viaggiare lontano, sapendo di avere un dove in cui tornare.
Uno con la millefoglie, la rete, la granita di fragola fresca e il sorbetto di limone buono. Voglio tornare piena di sabbia dove non costruisco più niente che giochi di conchiglie e nacchere.
E invitare.
Il mondo, io voglio invitare.
E non avere più paura di scegliere, lasciare.
Lasciarvi tutti stare. Padrona in casa mia. E ripetere.
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