La memoria del corpo

Si ribella in quel girone terreno
Filo su attacco di panico,
vv. 91-99, Inferno, Canto XXX

Eppure lo sapete, che a negare quel dolore, lì impuniti, a salvare voi stessi, qualcuno muore. Continuando a schivare la coscienza, però, c’è già una bolgia col vostro nome

E io a lui: “Chi son li due tapini
che fumman come man bagnate ’l verno,
giacendo stretti a’ tuoi destri confini?”.
“Qui li trovai – e poi volta non dierno -“,
rispuose, “quando piovvi in questo greppo,
e non credo che dieno in sempiterno.
L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo;
l’altr’è ’l falso Sinon greco di Troia:
per febbre aguta gittan tanto leppo”.

Chissà dove finiscono.
Gioiscono, e ridono di noi, loro.
Chissà dove finiscono quelli come loro, che fanno male agli altri. Che negano per sempre, per salvarsi. Dice che si prendono la febbre, loro.
Ma qua la fanno grossa agli altri, e se ne fregano, i bugiardi Ti battono sul tempo. I falsari.
Chissà dove finiscono, mentre mangiano, ridono, fanno aperitivo, si guardano allo specchio, in che girone finiscono gli stolti, i visi amici e i finti buoni.
I bugiardi, i falsari di parola.
Si prendono la febbre, sotto i nostri piedi. Là.
Mentre ogni giorno gli allacciamo le scarpe sui vassoi. Qua.
Chissà dove finiscono i calpestanti qua, le lacrime pesanti, cadute per gli altri. Per i guai che non sanno, e trafiggono, ignoranti le mani nelle carni. Non le loro, sia mai.
Degli altri.
Chissà dove finiscono i bugiardi, mentre aspetti un giorno che fa sera per posarti e goderti un po’ di mondo sulla schiena.
E invece no, arrivano i bugiardi che sferrano quei colpi, ma tu sai bene cosa fare, ignorare.
E invece no, il corpo lo conosce il suono dell’accusa, dell’urlo, del dito puntato contro il nulla, sei stata tu, sei stata tu, sei stata tu. Il bugiardo non ascolta, il bugiardo prova. L’impossibile, improbabile, ciò che la sua faccia vede simile al suo volto, di legno il cavallo entrato come a Troia.
Il vento e la bufera non bussano per tempo nel terreno amato delle urla, arriva nella schiena, e della verità si fa le corna. Il dolore nelle braccia e nelle gambe ritorna come ogni estate, conosci un infarto, nel cuore tira vento e nelle guance il freddo, nelle anche soffia un treno, il corpo si ribella è un’avvisaglia di morte, apri la porta col cuore in mano, e ti ritrovi lontano. Il reale si schianta, alla prima accusa senza ascolto, il corpo se ne va quando l’accusa non ascolta. Il corpo se ne va, da solo, si inginocchia nei confronti di dio, vi prega la sua resa, ribellione, guerra. La mente sa tutto, la ragione è sempre quieta, tranne lì, quando sente di annegare in quella bolgia urlata di una vita calpestata, che ripete sempre uguale, nuova e sempre uguale, il palcoscenico si accende per proteggere l’involucro come preda con la iena, il valore del corpo, si comporta come scudo a minaccia di morte, lui combatte mentre dentro si spezza, e risponde da solo, coraggioso, in un modo, la ragione abbaia e si autoalimenta perché il corpo si spaventa, il senso di morte sta lì, senza avvisare senza porsi dubbi o se ne vale pena.
Resti lì che annaspi, senza respirare resti sola con la morte a battagliare, eppure sapevi cosa fare, non aprire quella porta, e ignorare, mentre ci provi, a sfiatare e continui ad abbaiare. Mentre il corpo se ne va, la voce si fa roca, si abbassa si aggroviglia nella gola e spezza, il senso di morte schiocca le dita, quell’attore, sta lì nel suo sipario se la gode coi bugiardi nella bolgia, è pieno, ci son tutti. Li riconosci uno a uno, fieri, goduriosi, ci sono proprio tutti.
Il corpo lo conosce quell’inferno, quel dolore, le ossa abbandonano la nave, si staccano come crosta dalla carne, la testa si annebbia di lacrime, gli occhi di aiuto, ti prego, ascoltami, non urlare da solo fantoccio, non parlare da solo, mostro, sono qui che parlo, in attesa che qualcuno si fermi, tu, ascolta. La testa lo sa cosa fare, mentre il corpo parte solo, senza meta, si gela, si fredda e poi si scalda e trema, tremano le mani le gambe la voce, vuoi scappare e mettergli paura, e sbattere la tua forza in faccia anche tu, la tua ragione. Ma non ne sei capace, non è la tua bolgia.
E non lo sai fare, non riesci a gridare, ti viene così male. Stai male, non ti riconosci, il corpo ha paura, rivive il trauma eterno di trovarsi tra l’incudine e il martello della santa inquisizione che rivive. Sa già, come si muore. Lo sa che il passo lì è il tempo di un respiro, o sopravvivi o si muore. O sopravvivi o si muore e allora attacca, si attacca per istinto, sa combattere, strano a dirsi, combatte ancora quella morte.
L’ansia non c’è più quella cara amica, la conosci, la sposi, fa da tappeto alla tua vita. L’urlo che si annoda, si dispiega e si celebra nell’istante di un errore, un’accusa reiterata, senza risposta, senza aria è l’equazione di una cosa che conosce. E no che non glielo spieghi, che al corpo non si muore.
Gli effetti sono lunghi, dipende dal decorso.

Ti risvegli piano piano da un torpore sorretto dal giudizio, dalla colpa. Ma cosa?

Lei miseramente cade e fallisce, la tua guerra davanti all’ennesima aria vuota, in un pugno di dolore al petto, te lo devi gestire, sei sola e te lo devi gestire. Non c’è nessuno.
Ha visto. Ha elaborato, ci ha provato, ha vinto.
Vince il pugno, vince il bugiardo, che sai che è bugiardo ma non puoi provarlo. E ride della tua voce che trema. Le accuse addosso non calzano a pennello, la testa lo sa che deve fare, ma la morte è presuntuosa non lo sa.
Lei ancora si dà arie, e no, il ricordo del corpo ancora no, la memoria del corpo ancora no, le lacrime no, le urla no, la paura di morire no, la paura dell’accusa, stanno tutte in prima fila col cuore là davanti, le lacrime a combattere, mentre il corpo si sfalda, non ti ascolta, non ti ascoltano le dita, le frasi, le parole, la febbre, la loro nemica. Le parole non ascoltate e di rimando urlate ad alcune persone fanno più male, calano la loro violenza in un pozzo di lividi e schiaffi. Aprono col bisturi la pelle e lasciano che tutto sgorga. E sai che non passa, è la memoria del corpo, e quando accade, torni lì, vegetale, in balìa del volere sputato, e anche se lo neghi, che ti hanno aperto e fatto male, il corpo lo ricorda, lo sa che è così, e i perché, in fila fisica e in coda psicologica, a distanza di tempo, fanno più male. Il corpo attacca, attaccando se stesso. E la voce urla di lacrime, nessuna via fuga, in risposta alla violenza, il corpo non dimentica, si impadronisce della lucidità che si che si perde si dentro lei.
Chissà dove finiscono i bugiardi.
Ridono molto, i bugiardi.
Vanno a festeggiare, i bugiardi, gli impuniti.
Mentre c’è chi per le loro parole ci muore.

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