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Je suis un Clitoris

Le Clitoris qui avait la nausée du penis
Filo su Clitoride con visiera (e palloncino) che aveva nausea del pene

C’era una volta e c’è ancora oggi da qualche parte su questo pianeta, una clitoride, o un clitoride, come volete chiamarla o chiamarlo, di nome Clitorìs che aveva una gran nausea dei Penìs. Color nero color bianco color grigio color rosa e blu cobalto. Tutti i colori gli odori le stazze le lunghezze le grossezze di nuances dei vari penìs la facevano vomitare.
Era stata da loro così tanto desiderata, ammiccata, delusa, forzata, ammaliata, per così tante volte, che non riusciva a sentire più niente. E non per creare la solita spaccatura tra peni e clitoridi, come si pensa. Lei davvero, non sentiva più niente. Non, della solita serie, Clitorìs poverino e Penìs stronzino.

Clitorìs, e molte come lei, è questo che vivono, questo niente, un niente pieno di tutto.

Ed è anche ciò, che oggi vi racconto.

Il continuo lottare tra incarnare quel sublime come gli altri vorrebbero che fosse il femminile, e ciò che il femminile è davvero.

Così Clitorìs si dedicò a un periodo sabbatico.

S’è presa valigie e valigette, baracche e burattini, giochini e giocatrici e se n’è andata in viaggio. Lontano.
Che dico lontano, ancora più lontano.
Lontano da dove il suo movimento dava fastidio, il suo chiedere torcere le labbra, il suo pulsare schifo, il suo gonfiarsi pretendere e scaldarsi, ribrezzo.

Lontano, dicevo, lontano da dove si sentiva in gabbia, e da dove era un tabù.
Sì, perché Clitorìs spaventava i peni ottusi e i più bigotti e le clitoridi represse da una società che non le aveva mai tenute in considerazione come i peni. Loro, fighi ad ogni età sempre invidiati, sempre,  a sessanta ottanta e novanta anni battono il cinque ai  bella bro ancora che te la sbatti eh? Tu sì che ci sai fare. Pillolina? Macché, per chi mi hai preso.

Mentre la clitoride, passati un paio d’anni di fuoco gioviale, di attitudine alla conoscenza di un pene col quale essere pronta in tandem a riprodursi, dolore di cerette che la mettono a dura prova, conoscenze unte e bisunte, repressioni culturali, deviazioni di linguaggio e innumerevoli chiusure più che aperture..
Ma che dico.

Scusate, la consuetudine. L’abitudine malsana di collegare continuamente il piacere a un organo riproduttivo e di sopravvivenza corporea..
È qui  che casca l’asino con zoccoli criniera e tutto il pelo attorno.
La clitoride, tanto accusata, sporcata, occultata e bruciata, inchiodata e crocifissa dalle più becere delle religioni e di stregoneria uccisa e di male parole affibbiata, non serve a riprodursi come il tanto goliardico e intoccabile pene. Difficile da digerire eh.. 
Non serve nemmeno alla minzione! Ed è questo che spaventa. Lei, non serve a nient’altro che al dono.
Sebbene le donne siano multitasking in ogni dove, divise, sminuzzate, appallottolate, nel piacere, invece, si sono specializzate.
È forse per questo che non se lo vogliono, né possono permettere, non possono accettare né accettarsi e né dalla società includersi e venerarsi.
Lei sta lì, beata, solo per regalare piacere intenso ed avvolgente. E nient’altro che bontà, passione dolcezza, fuoco e fiamme e ancora baci poesia rock ‘n roll e luna park. La clitoride mette paura, invidiata dalla fragilità del pene prestativo. Collinetta tanto desiderata e poco conosciuta, giacché l’uomo molto spesso, non sa che cosa farsene di tanta bellezza. Una bellezza e un piacere che a lui non ritorna, se non come carezza,  lì accovacciato pronto ad esplodere di tanta poesia. Un piacere con cui fare i conti ogni giorno, lui che si fa carne e veicolo di un piacere non suo che si infonde  nel corpo che abbracciano.

Ci son uomini che provano piacere insieme ad essa, altri a cui proprio questo non interessa.
C’è chi la tocca come una chitarra, c’è chi la picchia come un tamburo, chi la annusa e la lecca come leccasse gli anfratti del prendimiele tondo che chi l’ha inventato devo trovarlo, c’è chi non vede come la talpa c’è chi dimentica smemorino ed appagato. C’è chi la taglia, c’è chi la cuce, c’è chi la odia, sputa e seduce. C’è chi la uccide, chi la violenta, chi si spaventa, soffoca e muore.
Eppure, è solo una clitoride.
Manda in scacco i peni più abbienti e quelli più dolci, quelli studiati, gli ignoranti, i drogati, i poveri, gli ammanettati, senza distinzione di classe sociale.
Eppure, è solo una clitoride, ma non se ne sente mai parlare.
Eppure, di una donna masturbante..cosa?
ne si ha ribrezzo e voglia e no grazie, perdona.
Che a 40 anni Clitorìs torna a casa, mi dispiace, che a 40 anni bella zì mai stato più duro di così?
La voglia di scendere per strada e urlare.

Non ne poteva davvero più di un mondo improntato sul piacere maschile e sull’umiliazione femminile.

Di darsi così innamorata e ingenua a chi l’accarezzava a chi la sfregava a chi se ne fregava, di lei e del suo mondo Clitorìs pur amando, pur desiderando ancora, era sfinita, senza parole, profondamente sofferente e delusa.
Ma lungi, ben lungi da qualsiasi sentimento di rancore.
Lontana, lontana dai luoghi dove il suo essere donna metteva in croce i peni più fragili, giudicanti e pretenziosi. Dove si doveva tappare tutta quando aveva voglia dove quando non aveva voglia doveva spogliarsi per appagare e così poco appagarsi che sennò, so’ cazzi.
Ma quali? Ah giusto, potresti anche picchiarmi.
Oppure sposarmi e poi lasciarmi.
E io quando decido?
E io quando scelgo?
E io quando godo?
Questione di cultura. Da noi Lutero non è arrivato, bacino di un utero bello stretto e di desiderio oggettivizzato.
Per quanto tempo questo viaggio proseguirà non lo sappiamo, sappiamo però che da che era una Clitorìs, all’inizio, piena di dolore, sono diventate due, poi cinque, che dico, dodici ventisette clitoridi tutte insieme che nella Route 66 se la godono come poche.
Passano i giorni e conoscono luoghi, peni, clitoridi, c’è chi si ferma a godere un po’, c’è chi tira dritta come vuol, chi vuole si accoda chi non vuole se ne va. Ognuno fa finalmente quello che sente, in totale libertà. Attraverso deserti, cascate, boschi e ruscelli, e poi ancora strade e cafè meravigliosi. Nessuno si permetteva di dire loro cattiverie. O meglio, attenzione. Molti le guardavano storto, altri fischiavano, altri ancora se la masturbavano. Peni e clitoridi. Indistintamente. Numerosi giudicavano, anche con parole poco carine. Così, con grande fermezza, le nostre clitoridi prendevano le opinioni, i giudizi le lame altrui, li chiudevano in un sacchetto nero e col savoir faire di una very impressive american bitch, gomma alla bocca ci mettevano il timbro e restituivano il bottino al mittente.
Che non vi dico le facce. Gli orgogli. Quei peni mosci.
La nostra Clitorìs porta la visiera per il sole e un palloncino pieno di gioia speranza e passione, ma fino a che non sentirà di potersi fidare lasciare andare coccolare e sgambettare a piacimento non lo avvicinerà a sé. Lo tiene in alto in alto, cosicché possa respirare guardarsi e giocare quanto e come vuole. Ogni volta che le va.
Si tocca si coccola si piace e si trucca.
Sta portando avanti un progetto nelle scuole.
La culla dei peni e delle clitoridi che verranno.
Ma l’educazione sessuale, l’amore per il proprio corpo, qui dove Lutero non è mai giunto, è scambiato con il peso e con il trucco, con l’età e il barbatrucco, si cerca di capire ancora se ami avere dentro un pene una vagina o tutte e due. Per scherdarti e rifiutarti se tu col sesso ed il corpo ne vuoi fare quel che vuoi, lo ami, lo conosci e lo culli, se col il sesso ci ami ci vivi ci guadagni e ci godi.

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