Il niente
Cuor di fagotto
Filo sul niente. ti auguro di averne
Voglio avere il diritto di non fare niente, voglio avere il diritto di essere niente. Voglio dire non so niente. Non faccio niente. Non voglio niente. Non studio niente. Non lavoro niente. Non penso a niente.
Ai bambini vorrei regalare un fagottino di sorrisi e niente. Che ci facessero amicizia e se ne prendessero cura, del fagotto di niente. E se lo portassero dietro tutta la vita. Prezioso, quel niente.
In un mondo pretenzioso che frulla, ricalca ed ostenta, che chiede e ci richiede, chissà poi, cos’è che si richiede, mentre passa sopra tutto, sulle dita, sulle anime ed i corpi, denigrando quel che sbava, quel che sbaffa, quel resta indietro, ma rispetto a che? ma cosa? chi? te? la linea immaginaria di una gara, non la tua, poco rispettosa, tumefatta ed altezzosa su chi è meno, efficienza, richiesta, perfezione, allineamento, precoce sfruttamento, vomito e ripieno, sulla linea preventiva e previdente del così che si dev’essere sui tempi e sulle scelte, sugli occhi e sulle ore, sui dubbi, le lacrime e i sorrisi, le aspettative, i silenzi, le attese frettolose, non c’è tempo, resto indietro, paragone, della gente.
Regalerei, nelle scuole, un’ora di niente.
Dove stare, a non fare, proprio niente. Dove essere, quel che vuoi, cane, dromedario, filosofo, avvocato, tubo di grondaia, maniglia del portone, un aggettivo. Un sellino. Un tramonto, o niente. Semplicemente niente.
A carnevale farei il vestito del niente.
Le fabbriche del niente, il lavoro, del niente. Una spiaggia di niente. Un mare di niente. Il mercato del niente.
Un giorno all’anno in cui non si fa niente. Il 3 di dicembre. Niente.
Investirei, dall’asilo fin da grandi, sull’ora riservata al niente. E un master, sul niente. Impartirei lezioni, e insegnerei l’arte del niente, dove nessuno si permetterebbe di giudicare, o si sentirebbe in colpa. Di rispondere niente. Non faccio niente. Lasciatemi in pace nel mio niente. E tu non giudicare se hai fatto quelle scelte. Io sono così e voglio egual rispetto che hai davanti a lei, a quel tailleur Chanel, a lui che è imprenditore, al laureato in legge.
Io, niente.
È difficile sapete, la materia del niente.
A non fare, la gente si perde. Non sa come restare, galleggiare o sprofondare, parlare, respirare. Cos’è il niente?
Com’è facile riempire. Aggiungere e coprire.
Saturare, farcire, rimpinzare. Impazzire. Com’è facile fare. Spostare, andare, tornare, pretendere, ammaestrare. Coprire, trasferire, traslocare. Com’è facile aumentare. Accrescere, sommare, tenere, occultare, collimare. Niente.
Prova a pensare al niente.
Difficile sapete.
Solo una persona riusciva a pensare a niente, la mia migliore amica. La mia unica sorella di follia.
Ma lei non era per questa fragile terra, era fatta di burro, ricci paglia e occhi verdi stella. E il cielo l’ha pretesa indietro molto presto a sé. E ora so perché. Perché lei sapeva che cos’era il niente e ce lo manda a noi sottoforma di silenzio, ovattato, nella neve.
Se conosci il niente, hai tutto quel che serve.
Ti auguro niente. Il silenzio delle stelle. Quello che vuoi tu e un piccolo fagotto, dentro un po’ di noia, di vuoto, un uovo e tre stelle, in un mondo di tutto, ti lascio un respiro, una preghiera, bacio e una matita. Un poco del valore del mio niente.
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